La sua teoria dei traumi migratori ha connesso lo specialismo psichiatrico ad un orizzonte etno-antropologico e trans-culturale più ampio. Questa dimensione etnopsichiatrica valorizza infatti l’espressività linguistica e simbolica dello sradicamento, e dei riti necessari per esorcizzarlo.
La sua lezione consente quindi di guidare studiosi di aree diverse nel difficile equilibrio tra la competenza nella propria specifica disciplina e il coraggio di agganciare quest’ultima alla ricerca contemporanea sul trauma migratorio, allargando quindi i confini dei saperi nella direzione della medicina narrativa. Risso ha inoltre promosso un’idea di narrazione e di saggistica sulle vite immigrate al tempo stesso ventriloqua e unificante.
Per un verso, le “lives narratives” e le categorie ricostruite da Risso fanno parlare i subalterni, attraverso il recupero e l’interpretazione dei loro materiali antropologici. Per l’altro, però, il suo discorso associa la frammentarietà delle vite a categorie analitiche unificanti. La lezione di Risso diventa quindi oggi una chiave importante per creare tessuti narrativi condivisi degli orizzonti antropologici e delle loro pluralità.